sabato 10 settembre 2011

Grattachecca



Mi sono iscritto alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso l'Università "La Sapienza" di Roma nel lontano anno accademico 1969-70 ed ho conseguito la Laurea con 110 e lode dopo i canonici anni di corso istituzionali.

In seguito ho conseguito la Specializzazione in Psichiatria nel 1982 presso l'Università di Pisa. Erano gli anni beati in cui liberamente si sceglieva la Facoltà universitaria alla quale iscriversi e se si aveva voglia di studiare ci si laureava.

Se altrimenti quella suddetta voglia non c'era o non c'era a sufficienza, allora ci pensavano i Professori agli esami a bloccare il nostro procedere ulteriore e a scoraggiare il proseguimento degli studi universitari per i quali evidentemente non eravamo sufficientemente portati o dotati di adeguato spirito di sacrificio e senso del dovere.

Si verificava anche qui una selezione naturale, secondo naturali e giusti, a mio parere, criteri di giudizio.

Ma poi è venuto il "numero chiuso", con i test di accesso alle facoltà, ma non tutte, e già qui mi sembra si possa ravvisare la prima ingiustizia.

Perchè, se ho la vocazione per le Lettere antiche, ad esempio, non devo sostenere alcun test di accesso, mentre se, sfortunato me, ho la vocazione di medico e voglio emulare il dottor Schweitzer o la vocazione di odontoiatra o quella di infermiere, fisioterapista, o di tante altre legittime professioni, devo sottostare al capestro del test di ingresso, devo gareggiare con altri come me che hanno la stessa vocazione in un perfido "se vinco io perdi tu, o se vinci tu perdo io?

E ancora, come può mai un test sottoposto a ragazzi che escono dal Liceo, valutare in anticipo, se sono adeguati, se hanno l'intelligenza, la costanza, lo spirito di sacrificio, la maturità, la moralità per essere in futuro dei buoni medici, o odontoiatri, o infermieri, o fisioterapisti, tanto per citarne alcuni?

Si può mai affidare ad un test un compito così importante, così complesso, così selettivo, così determinante per il futuro?

E ancora di più, ci siamo mai posto il problema, se sia legittimo stabilire un numero chiuso per l'accesso all'Università?

L'Istruzione non è un diritto per tutti?

E l'Istruzione non dovrebbe essere libera, sia che io decida di studiare Lettere antiche o Medicina?

Perchè ci siamo così supinamente assoggettati a questa ingiustizia?

Perchè non pretendiamo che sia L'Università nel corso degli studi ad esercitare una naturale selezione?

Ai miei tempi, quando il servizio militare era obbligatorio per tutti, ricordo che a noi studenti universitari era concesso un rinvio, di anno in anno fino al completamento degli studi, ma questo rinvio era condizionato al superamento di almeno due esami l'anno, altrimenti si partiva per il servizio militare.

Perchè un criterio analogo non potrebbe essere stabilito anche per la permanenza all'Università?

E ancora, possiamo fidarci di un test siffatto?

Io sono medico da anni, ed esercito la mia professione con passione immutata da quando ho cominciato, anzi se possibile accresciuta, ma credo che se avessi avuto la sfortuna di vivere in tempi di numero chiuso e di test di accesso, forse non sarei mai diventato medico, infatti e purtroppo...non ho mai mangiato la Grattachecca della Sora Maria a Roma, pur vivendo nell'Urbe dalla nascita e quindi non ne conosco la composizione, analogamente non so come si produca la porchetta di Ariccia e non conosco gli ingredienti della amatriciana o della carbonara, nè tantomeno conosco la frase che Vasco Rossi ha postato su Facebook dopo il suo ricovero in clinica, tanto da poterla completare come richiedeva il test dopo le parole iniziali suggerite in questo, nè tantomeno so che a Luglio è stato rubato il Codex Calistinus da una chiesa di Santiago de Compostela e quindi non saprei cosa c'è scritto nella quarta parte di questo, come il test richiede, nè tantomeno sono a conoscenza se in un circuito elettrico un nodo è il punto in cui sono collegate tra loro due capacità, oppure convergono almeno tre rami, oppure sono collegate tra loro una resistenza e un'induttanza, oppure convergono più di due terminali, ed infine, lo confesso non ricordo in corrispondenza di quale fase può verificarsi un'eclissi di luna, se in Plenilunio, o Novilunio, o Primò quarto, o Ultimo quarto, oppure in quadratura, tutte cose la cui conoscenza è indispensabile per essere un buon medico.
Per mia fortuna però avrei saputo rispondere alle domande di questo tipo: Una persona querula è una persona lamentosa, o generosa, o molto esigente, o molto dotata per la musica o loquace?

Quando una persona parla con prosopopea intendiamo dire che si dà aria d'importanza, oppure si esprime con il linguaggio dell'epica, oppure parla in versi, oppure cerca di utilizzare un lessico appropriato, oppure si esprime con molte parole dialettali?

Altresì avendo di recente visto il film sono a conoscenza che il Titanic affondò nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 per una collisione con un iceberg e non per collisione con un'altra nave, avaria della bussola, malfunzionamento del radar, o fitti banchi di nebbia, come suggerivano le altre risposte errate del test.

Sarebbero bastate queste risposte giuste a fronte di quelle errate per accedere alla Facoltà e diventare medico come sono?

Temo proprio di no.

Dovrei per coerenza restituire la Laurea in Medicina e Chirurgia e con essa anche la Specializzazione?

Domenico Mazzullo


lunedì 9 maggio 2011

Solidarietà

Non amo la televisione e raramente guardo i telegiornali.
Alle notizie per immagini, preferisco di gran lunga quelle scritte sulla carta stampata dei giornali e quelle comunicate dalla voce della radio, perchè le prime maggiormente, ma anche le seconde mi permettono, nel tempo che intercorre tra la percezione sensoriale visiva o acustica degli stimoli e la loro trasformazione in concetti di senso compiuto, una pausa di riflessione critica sulla notizia e sul suo significato.
Le immagini invece, nella loro immediatezza e violenza, non permettono questa seppur minima pausa di riflessione critica, colpendo con brutalità il nostro sistema percettivo e si impongono ad esso senza alcuna possibilità di essere valutate e soppesate.
A volte però le immagini sono in un attimo più eloquenti di miriadi di parole.
E' quanto è avvenuto a me ieri, quando, passando distrattamente davanti al televisore acceso, ho visto per un attimo, perchè il servizio era finito, le immagini drammatiche del salvataggio notturno a Lampedusa a favore di 500 immigrati libici in pericolo di vita.
Al salvataggio hanno partecipato tutti, in una meravigliosa, stupenda, commovente emozionante catena umana, che ha visto uomini e donne gettarsi in acqua incuranti del pericolo, per trarre in salvo i profughi, per fortuna, o per miracolo, o per solidarietà umana tutti salvi.
Questa è la solidarietà che L'Italia e gli italiani, al di là ed al di sopra di tante polemiche, sono capaci di dare e prendo questa immagine commovente e meravigliosa come simbolo del nostro paese.
Per un attimo mi sono sentito anche io orgoglioso di essere italiano.
Domenico Mazzullo

martedì 25 gennaio 2011

Siamo un Paese sotto tutela?


Abito proprio dietro Porta Pia, a due passi da Questa e quando, quasi ogni giorno, vi passo davanti, sollevo lo sguardo verso la lapide che reca incisi sopra, i nomi dei caduti dell'Esercito Italiano, morti per liberare Roma dal potere temporale del Papa Re, idealmente a rendere omaggio alla Loro memoria e a rendere Loro grazie per avermi permesso di nascere in uno Stato libero, laico e sovrano e non essere invece suddito del Papa.
Ma forse ho esagerato ottimisticamente con gli aggettivi.
Libero? Laico? Sovrano?
Lo è davvero il nostro Paese?
Sulla carta certamente sì e così pensano i suoi cittadini, ma a prestare maggiore attenzione e neppure tanta, mi sembra evidente che i tre aggettivi che ho usato risultino tristemente sproporzionati, falsi, inadeguati, mendaci e fuorvianti.
Purtroppo temo che neppure uno di questi possa applicarsi adeguatamente al nostro Paese e al nostro Stato, così come avrebbero voluto i Suoi Artefici, Mazzini, Garibaldi, Cavour, che su fronti diversi e con ideologie diverse, dedicarono la loro vita a perseguire questo obbiettivo comune.
Ho volutamente tralasciato il quarto personaggio, Vittorio Emanuele II, primo re di Italia, che si sentì talmente "primo re di Italia" da voler continuare a chiamarsi Vittorio Emanuele II.
"Libera Chiesa in libero Stato" era il motto continuo di Cavour, il Suo credo, la Sua idea portante.
Di questa idea, purtroppo, solo la prima parte si è realizzata appieno, mentre la seconda non lo ha mai fatto, se non per un breve periodo, troppo breve perchè si consolidasse, periodo felice interrottosi con lo sciagurato Concordato ed i Patti Lateranensi del 1929.
Da allora lo Stato italiano ha smesso di essere libero totalmente, ma è divenuto uno Stato "sotto tutela", sotto tutela della Chiesa, naturalmente, che servendosi di artifici ora evidenti, ora subdoli e sotterranei, ingerisce pesantemente nei nostri affari interni.
Lo ha sempre fatto, invero, ma oggi, in presenza di una classe politica inetta ed incapace di difendere le proprie prerogative e la propria libertà, lo fa ancora più apertamente e sprezzantemente, erigendosi al ruolo di giudice super partes, di guida spirituale, che come tale è anche morale e che, con un salto logico che non le è nuovo, diventa anche materiale.
Non è una novità. Basti pensare per questo alla "lotta per le investiture" di medioevale memoria e che vide il Papa e l'Imperatore l'un contro l'altro armati.
I tempi sono trascorsi, ma non sono cambiati, se il Cardinale Bagnasco, presidente della Cei, Conferenza episcopale italiana, si permette di entrare a gamba tesa, in casa nostra, esprimendo, non richiesto, il suo "autorevole parere", su affari personali del nostro paese che per nulla lo riguardano come cardinale, il quale se parla dal suo ruolo istituzionale e così mi sembra, si esprime come membro di uno stato estero.
"Nubi preoccupanti si addensano ancora una volta sul nostro Paese e provocano sgomento e disagio morale di fronte a spettacoli nefasti moralmente inaccettabili e pericolosi specialmente per i giovani, ma anche forti perplessità per comportamenti contrari al pubblico decoro e per stili di vita non compatibili con la sobrietà e la correttezza, ostentati da esponenti delle istituzioni e della politica.
Chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell'onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda all'articolo 54."
Ho posto il termine nostra in evidenza perchè forse il Cardinale Bagnasco, in un impeto di entusiasmo, ha dimenticato che la Costituzione è la nostra, di noi italiani e non la sua, membro di uno stato estero.
Mi chiedo però perchè noi Italiani dobbiamo continuare a subire, così silenziosamente, così umilmente, così pronamente, le ingerenze indebite, non richieste, non gradite, non competenti, di esponenti di una Chiesa, ossia di una confessione religiosa, che autonominandosi autorità spirituale e quindi autonomamente anche morale, tout court pretende e si autoerige ad arbitro e giudice delle nostre vicende personali, più o meno discutibili.
Eppure non ho sentito la voce di nessun politico protestare, non ho sentito la voce di nessun politico chiedere:"ma come si permette?"
Non essendo io un politico e non avendo quindi interessi personali da difendere o conservare, lo faccio io.
"Ma come si permette?"
P.S. In tema di comportamenti immorali la Chiesa forse farebbe bene a tacere e proprio di questi tempi in odore di scandalo pedofilia, perchè di scheletri negli armadi ne ha proprio tanti, e ben nascosti.
Domenico Mazzullo

venerdì 31 dicembre 2010

Ma Loro non hanno festeggiato


Proprio no. Non credo che Loro abbiano festeggiato.
Gli Alpini tutti, ma soprattutto i Familiari, i Genitori dell'Alpino morto in Afghanistan, l'ultimo nostro soldato Che ha perso la vita servendo il nostro paese.
Doppiamente sfortunato il nostro Alpino, dico nostro perchè è di tutti noi, o almeno così dovrebbe essere; doppiamente sfortunato perchè prima di tutto ha perso la vita, anche se a scuola ci avevano insegnato che dulce et decorum est pro patria mori, ma i tempi sono cambiati così come la lingua, ma ancor più sfortunato perchè quella Sua vita, quasi appena iniziata, ancora quasi non vissuta, l'ha persa proprio in questi giorni di festa, quando tutti pensano a divertirsi, a festeggiare il Natale e ancor più il Capodanno, tra veglioni, botti, fuochi d'artificio, cenoni, auguri sciocchi e di maniera, abiti firmati da indossare la notte di San Silvestro, mutande rosse e altro che non voglio nominare per decenza.
E in mezzo a tali festeggiamenti preparati da tempo, non c'è tempo per fermarsi, per riflettere, per un attimo di silenzio e di dolore.
Non c'è tempo per pensare, per accorgersi che non c'è nulla, proprio nulla da festeggiare, quando un nostro soldato, in un paese lontano ha perso la vita, è morto lontano da casa, per noi, anche per noi.
Eppure questa notte, dal letto ove mi ero rifugiato, cercando di proteggere e rassicurare i miei animali terrorizzati, ho sentito gli stessi botti, il rumore degli stessi razzi, degli stessi fuochi d'artificio, le stesse urla della gente in strada e ho immaginato gli stessi rumori dei tappi di spumante che saltavano e il tintinnare delle coppe nel rituale sempre presente del cin cin di mezzanotte e oltre.
Avevo sperato, mi ero illuso di non sentirli.
Avevo sperato che il dolore, la costernazione il raccoglimento, la vicinanza ideale con i familiari del giovane Alpino caduto, avrebbe frenato e trattenuto i festeggiamenti, anche se da tempo preparati, per mostrare la solidarietà di tutti noi verso Chi certamente non ha festeggiato, non ha stappato lo spumante, non ha mangiato il panettone, non ha brindato al nuovo anno.
E penso anche ad un'altra casa, quella di Yara, ove i suoi genitori non hanno certo festeggiato l'inizio del nuovo anno, senza la Loro figlia.
E invece il mio sogno di solidarietà non si è realizzato e tutto è rimasto pedissequamente eguale agli anni trascorsi.
Soliti botti, soliti feriti, mi sembra anche due morti, uno morto per proiettili vaganti, un altro gettatosi dalla finestra della casa in fiamme, soliti ustionati, solite raccomandazioni del giorno dopo per i petardi inesplosi.
A Roma si è svolto regolarmente il concerto di Baglioni con grande affluenza di pubblico festante e così allo stesso modo è avvenuto per gli altri concerti nelle altre città.
A Venezia il tredizionale bacio collettivo in piazza San Marco e nella capitale il solito tuffo nel Tevere. Tutto secondo copione.
Anche a Napoli, sepolta dalla mondezza, si è festeggiato e si sono sparati i botti, nonostante le raccomandazioni alla ragionevolezza e ad evitare manifestazioni pirotecniche che avrebbero potuto incendiare la spazzatura.
Ma il maggiore sconcerto, il maggiore stupore, il maggiore dolore, la maggiore indignazione l'ho provata questa mattina quando, appena levatomi dal letto, come al solito ho ascoltato il primo giornaleradio, quello delle 5 e naturalmente anche i successivi per avere una conferma, purtroppo, ma che speravo caldamente di non avere.
Mi sembrava di aver capito e mi sembrerebbe logico, che la prima notizia riferita fosse quella più importante e via via a seguire, le altre in ordine decrescente di importanza, almeno così procederei io.
E così forse è stato, secondo la logica di chi stabilisce la priorità delle notizie da comunicare.
E la prima notizia, quella più importante riguardava, ahimè, proprio le modalità dei festeggiamenti per il capodanno secondo come si sono svolti nelle varie città con priorità assoluta per Napoli e dintorni.
A seguire il bollettino di guerra di feriti, ustionati e morti, caduti sul fronte dei festeggiamenti e, impossibile a mancare, uno sguardo panoramico sul Capodanno nel mondo, con privilegio per le capitali europee.
Immediatamente a seguire il messaggio alla nazione del Presidente della Repubblica a reti unificate, con lunga lista delle reazioni, una tantum uniformemente concordi, dei nostri politici che hanno tutti espresso il loro grande apprezzamento per il messaggio.
Ancora dopo, la notizia del rifiuto da parte del Brasile alla estradizione del delinquente comune, pseudoterrorista, Cesare Battisti e solo successivamente a questa, la notizia e poche parole di commento sulla morte del nostro Alpino in Afghanistan.
Lo stesso schema è stato seguito, più o meno dal telegiornale di Rai 2 che ha preceduto il Concerto di Capodanno da Vienna.
Sinceramente mi sarei aspettato qualcosa di diverso. Mi sarei aspettato maggior rispetto nei confronti di un giovane di ventiquattro anni morto in Afghanistan per compiere il proprio dovere, mi sarei aspettato una maggiore solidarietà, spontanea, corale per i genitori e i familiari di questo Ragazzo, mi sarei aspettato una diserzione dolorosa e volontaria dai festeggiamenti programmati, in segno di lutto, per questa vita finita.
Invece nulla di tutto ciò.
Era un sogno, ma i sogni spesso non si realizzano.
Ma poi mi chiedo, in un attimo di resipiscenza, come avessi potuto ingenuamente coltivare questo sogno, se lo stesso Presidente della Repubblica, nel suo sopracitato discorso di fine anno alla nazione, trasmesso a reti unificate e che ha avuto, ironia del destino, come argomento precipuo e principale proprio i giovani, le loro aspettative deluse, la nostra responsabilità verso di loro, la loro importanza per il futuro del nostro paese, non ha fatto argomento principale del suo sermone, la morte per la Patria del nostro Alpino.
Forse non era Questi un giovane come tutti gli altri, con pari dignità e meritevole di pari attenzione?
Forse l'Italia tutta non avrebbe dovuto essere in lutto, per non rovinare i festeggiamenti di fine anno?
O forse era troppo tardi, per modificare un discorso già scritto da tempo e magari addirittura improvvisarlo, sulla scia della emozione e dei sentimenti del momento?
Ne è risultato il solito sermone, analogo a quello di tutti gli anni precedenti e anche dei suoi predecessori, che ha suscitato il plauso e il consenso di maniera di tutti i politici, anche di opposte fazioni, perchè sarebbe stato impossibile non essere d'accordo con ovvietà scontate e sempre ripetute, con verità lapalissiane, con moniti ed esortazioni, evidenti quanto inutili, con raccomandazioni alla buona volontà e a fare meglio che tutti, nessuno escluso potrebbe non sottoscrivere.
Il solito scontato copione.
Ma questa volta c'era qualcosa in più, c'era la morte di un giovane soldato di ventiquattro anni che ha perso la vita per la Patria, per tutti noi.
Sinceramente dal Presidente della Repubblica ci saremmo attesi qualcosa di più.
Signor Presidente della Repubblica, non conta nulla, ma non sei il mio Presidente.
Addio caro Alpino, Ti perdoniamo, a causa della Tua giovane età, di aver disturbato, scegliendo di morire proprio ora, i nostri festeggiamenti di capodanno.
Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it
www.studiomazzullo.com

giovedì 30 dicembre 2010

Capodanno



Capodanno

La signora Eunice da anni viveva sola, non rammentava nemmeno lei da quanti anni ciò accadesse.
Ricordava solo che la sua solitudine era iniziata da quando una volta aveva discusso animatamente, non sapeva neppure più perché, con la sua unica sorella, unica parente vivente e questa abbandonandola, vivevano assieme, le aveva detto:
“ Non ti sopporto più. Sei una egoista fredda e crudele. Meriti di vivere sola”
Ed Eunice si era adattata, abituata rapidamente alla sua solitudine, trovandola anche gradevole, permettendole questa di disporre a piacimento del proprio tempo e della propria libertà.
Eunice sapeva che la notte del 31 di dicembre, l’ultimo giorno dell’anno, la tradizione vuole che si saluti l’anno vecchio che va via, gettando dalla finestra una cosa vecchia, inutile, di cui non abbiamo più bisogno e di cui vogliamo disfarci.
Quest’anno Eunice aveva deciso di rispettare la tradizione e si mise alla ricerca di quel “qualcosa”, certa di trovarlo facilmente.
Pensò alla vecchia caffettiera “napoletana” che non usava più da tempo, da quando aveva acquistato una più comoda e più rapida caffettiera elettrica, ma ancora funzionava perfettamente e poi in fondo le era affezionata.
Pensò anche ad una vecchia stufetta elettrica, che le aveva riscaldato i piedi nei freddi inverni, ora sostituita da un più efficace calorifero, ma la stufetta le ricordava Temistocle, il vecchio gatto, ormai morto da anni, che si accoccolava ai suoi piedi, forse per affetto verso di lei, o forse per il calore che emanava dalla stufetta.
Pensò anche ad una vecchia cornice tarlata ed ormai inservibile, senza più nulla dentro.
Ma aveva contenuto il ritratto della sua mamma da anni defunta e le sarebbe sembrato blasfemo ed irriverente disfarsene.
Eunice cominciava ad essere preoccupata; la mezzanotte si avvicinava a grandi passi e per quanto si aggirasse per casa, non riusciva a trovare nulla, proprio nulla che fosse vecchio, inutile, inservibile, non legato ad alcuna affetto, o ricordo e di cui disfarsi.
Intanto la vecchia pendola che dominava una parete del salotto buono, cominciava a battere i dodici rintocchi della mezzanotte.
Eunice ebbe una idea improvvisa e meravigliosa, finalmente aveva trovato la cosa inutile di cui disfarsi.
Aprì la finestra di colpo…..e si lasciò cadere giù dolcemente.

Domenico Mazzullo

mercoledì 15 dicembre 2010

Impariamo da Loro

Quando ero bambino rimasi molto impressionato da un film rigorosamente in bianco e nero dati i tempi, "La tragedia del Titanic"e ne ricordo con emozione e raccapriccio le immagini, ma una soprattutto è rimasta impressa nella mia mente infantile, quella del comandante che
rifiutando di mettersi in salvo in una scialuppa, rimane sul ponte di comando, mentre la nave affonda e viene inghiottita dai flutti.
Al termine del film mio padre mi spiegò che si usa così, anche se non è una legge scritta.
Il comandante non abbandona mai la nave che affonda, ma si inabissa con lei, quasi fosse una persona cara, sopra le altre, che non può essere lasciata sola mentre muore.
L'immagine, la spiegazione mi fece una grande, grandissima impressione, ma ricordo, ne compresi bene il significato ed il sentimento in essa racchiuso.
La nave, con la quale affrontiamo tante avventure, con la quale corriamo, assieme tanti pericoli, la nave alla quale ci lega un sentimento di affetto profondo ed inalienabile, non può essere lasciata sola nel momento in cui affonda, nel momento in cui muore e il suo comandante deve affondare, deve morire con lei rimanendole vicino.
Ma ora i tempi sono cambiati, certi sentimenti non fanno più parte di noi, non ci appartengono più, sono fuori moda e desueti, anacronistici e quasi patetici, ma per fortuna a ricordare a noi esseri orgogliosamente umani, che esistono ancora, che da qualche parte ancora ci sono, che sono sopravvissuti alla distruzione da noi provocata, ci sono gli animali che con la loro semplicità con la loro spontaneità, con la loro istintualità, non contaminata e distrutta dal "progresso", come per noi è avvenuto, ci forniscono un esempio e un monito una memoria, forse anche un rimprovero, se ancora siamo in grado di comprenderne il significato.
L'ultimo è di pochi giorni addietro e ci proviene da un cane, guarda caso, di nome Athos, uno dei tre moschettieri.
Tutti abbiamo seguito in ansia le vicende della nave mercantile Jolli Amaranto con i motori in avaria, per giorni in balia del mare in tempesta, senza la possibilità di essere soccorsa, per le avverse ed insostenibili condizioni del mare.
Per fortuna la vicenda si è conclusa felicemente, almeno in parte, la nave è stata raggiunta da un rimorchiatore, rimorchiata in porto, ma si è incagliata in prossimità di questo ed è stato necessario abbandonarla.
L'equipaggio è sano e salvo al completo, no mi correggo, meno un membro di esso, appunto il cane Athos, che faceva parte integrante dell'equipaggio della nave stessa anzi ne era il membro più fedele e indispensabile, non abbandonando mai la nave, nemmen nei porti, a differenza naturalmente degli altri membri. E Athos non ha voluto abbandonare la sua nave neppure questa ultima volta, quando l'ha vista in difficoltà estrema, fedele alla consegna ed anche all'affetto.
Quando, come dicevo prima, la nave è stata abbandonata dal suo equipaggio al completo, che si è trasferito in sicurezza sul rimorchiatore, Athos naturalmente, è stato messo in salvo anche lui, ma non resistendo al dolore di allontanarsi, di separarsi dalla sua nave, sfuggendo all'abbraccio di chi lo teneva con sè, si è gettato in mare cercando di raggiungere a nuoto la sua nave, la sua casa, nuotando contro corrente verso di lei, ma l'onda sollevata dalle eliche del rimorchiatore lo ha tradito facendolo sparire all'improvviso sott'acqua.
A nulla è valso il coraggioso eroismo di un marinaio che si è tuffato in mare per salvarlo.
Athos era sparito, risucchiato dall'acqua.
Non potendo abbandonare a se stessa, non potendo lasciare sola la sua nave che è sempre stata la sua casa Athos ha perso la vita.
Mi rimane solo un dubbio: Non potendo, o non volendo?
Addio Athos eroico Comandante della nave.
Domenico Mazzullo

martedì 30 novembre 2010

La Grande Guerra


Il mondo del Cinema è in lutto. Il mondo della Cultura è in lutto. Il mondo di tutti noi che amiamo entrambi è in lutto per la morte di un Grande, Mario Monicelli Che ha finito di combattere la Sua personale, eroica Grande Guerra, quella Grande Guerra che ha voluto immortalare ed onorare in un mirabile film, uno dei tanti che ha realizzato, ma quello che a me è più caro e che sempre mi emoziona e mi commuove ogni volta che lo rivedo, ogni volta che rivedendolo, scopro in esso un messaggio sempre nuovo e che la volta precedente mi era rimasto nascosto.
Nella tradizione ebraica, quando una persona cara muore, in segno di lutto ci si toglie le scarpe.
Il perchè me lo spiegò un mio amico ebreo che venne a trovarmi quando morì mio padre:
"Nei tempi lontani, possedere le scarpe era un segno di ricchezza e quando muore una persona cara diventiamo improvvisamente tutti più poveri.".
Ecco, io credo che ora dovremmo tutti toglierci le scarpe in segno di lutto perchè siamo diventati tutti più poveri per la mancanza di una Persona Che ci ha lasciato, ma Che per nostra fortuna ci ha lasciato le Sue Opere, la Sua testimonianza, la Sua eredità, che ci rende tutti un poco meno poveri.
Mario Monicelli si è suicidato, gettandosi giù da una finestra dell'Ospedale S. Giovanni di Roma, ove era ricoverato perchè affetto da un "male incurabile" come si legge nei necrologi.
Non ha atteso che la morte inevitabile, giungesse a rapirlo secondo i suoi tempi, non ha atteso che la Nera Signora, in agguato dietro la porta, scegliesse Lei il momento giusto per portarlo via.
Ha voluto Lui decidere tempi e modi, ha voluto Lui decidere come morire, avendo deciso come vivere.
In una intervista che ascoltai qualche tempo addietro disse lucidamente, ricordo perfettamente le parole:"Ho sempre deciso come vivere, voglio decidere come morire". Quando la vita non è più degna di essere vissuta è giusto abbandonarla".
Lo ha fatto.
Fedele al Suo pensiero, quando ha ritenuto che la Sua vita non fosse più degna di essere vissuta, l'ha interrotta volontariamente e per scelta, aggiungendo il Suo nome a quello di tanti altri che in piena coscienza e in piena consapevolezza, hanno fatto la medesima scelta, di libertà, io ritengo e sono convinto.
Ho precisato e sottolineo, in piena coscienza e in piena consapevolezza, in quanto, proprio come psichiatra lotto quotidianamente contro il suicidio di pazienti affetti da depressione, più frequentemente, ma anche da altre patologie, i quali tentano o a volte mettono in atto un suicidio, determinato non da una libera e consapevole scelta, ma piuttosto dalla sofferenza indicibile provocata dalla malattia, sofferenza che però è, e questo rende drammatico il suicidio, curabile, guaribile, sopprimibile, assolutamente temporanea.
Ben diverso è il caso di chi, non affetto da tali malattie psichiche che offuscano la coscienza, ma in piena integrità psichica, decide che è giunto per lui il momento di congedarsi dal mondo
perchè la sua vita non è più degna di essere vissuta.
E', a mio modesto parere, l'estremo atto di libertà lasciato all'uomo che, non libero di scegliere se nascere, almeno è libero di scegliere di morire.
Se non le abbiamo lette a scuola, leggiamo o rileggiamo le meravigliose pagine dei "Dialoghi" di Seneca, o dei "Dialoghi" di Platone, o dei "Ricordi" di Marco Aurelio, ove molto molto molto meglio di quanto io sia capace, Loro timidissimo e iniquo allievo, sono espressi questi concetti di libertà umana.
Mario Monicelli ha avuto in dono dalla sorte, la possibilità, la libertà di porre in atto questa Sua determinazione. La considero una fortuna, un regalo della vita.
Ad Altri, meno fortunati, questa stessa fortuna è stata negata dalla malattia, o da altre circostanze negative.
Io egoisticamente spero e mi auguro con tutto il cuore che, se mi trovassi in circostanze analoghe, questa fortuna non mi venisse negata.
Addio Mario Monicelli, Ti ringrazio per questa ultima lezione di vita che, morendo come Tu hai voluto, ci hai lasciato. Grazie.
Domenico Mazzullo