martedì 29 giugno 2010

In memoria di Pietro Taricone


Ogni giorno tante persone muoiono nel mondo. Di moltissime non veniamo neppure a conoscenza. Di poche apprendiamo la morte dalle pagine di cronaca dei giornali, soprattutto per le modalità con cui essa è avvenuta, ma tutte, purtroppo, ci lasciano più o meno indifferenti, come un fenomeno cui siamo abituati e che fa parte della vita stessa.
Ma quando a perdere la vita è una persona che conosciamo, seppure solo un poco, seppure superficialmente, allora la cosa ci tocca personalmente, ci emoziona e ci commuove e ci comunica, con il freddo linguaggio della morte, che un pezzettino di noi è andato via irrimediabilmente, che un pezzettino della nostra vita è scomparso e di esso rimarrà, se siamo fortunati, solo la memoria.
Non ho mai visto "Il Grande Fratello", in nessuna delle sue molteplici e pedisseque edizioni, ma ho conosciuto personalmente Pietro Taricone a "Domenica in" nella edizione del 2003-04, condotta da Paolo Bonolis, quando intervistavo in diretta, sub specie psichiatrica, gli ospiti VIP della trasmissione.
Uno di questi malcapitati fu proprio Pietro Taricone e serbo di quel colloquio sotto l'occhio delle telecamere, un ricordo preciso, emozionante ed anche commovente.
Vedevo Pietro per la prima volta e mi ero sommariamente informato su di Lui, da qualche ritaglio di giornale, allo scopo di rivolgerGli qualche domanda significativa, nello spazio della trasmissione che mi era destinato.
Quando si adagiò sul lettino, che nella immaginazione dello sceneggiatore avrebbe dovuto creare l'atmosfera particolare, assieme alle luci soffuse e al silenzio circostante, dello studio di uno psichiatra, nonostante la incombenza delle telecamere e del pubblico presente, notai immediatamente, e non senza stupore, sotto un atteggiamento visibilmente spavaldo, ma non scorretto, la Sua fronte imperlata di sudore, non certo per il calore e un leggero tremore alle mani, segno tangibile ed evidente di una certo disagio e tensione emotiva, inappropriata in Chi era certamente più abituato alle telecamere, di quanto lo fossi io.
Dopo qualche generica domanda per rompere il ghiaccio e creare una atmosfera rilassata, Gli chiesi di raccontarmi qualcosa della Sua famiglia e della Sua vita prima di raggiungere la notorietà e mentre mi stava rispondendo, non riuscendo a nascondere una certa commozione parlandomi dei genitori anziani, ad un tratto si interruppe, improvvisamente, e sollevandosi a sedere, dal lettino sul quale era disteso, mi disse, con voce rotta dalla emozione e concitazione e con gli occhi spaventati:"Dottore, io ho paura di parlare con lei, perchè lei mi scruta dentro e questo mi fa paura".
Confesso che mi colse del tutto alla sprovvista.
In quel momento, da quel momento, il tono della nostra conversazione cambiò radicalmente dimentichi Lui ed io certamente, di essere davanti agli occhi di tutti.
Gli spiegai che se è vero che uno psichiatra ci scruta dentro, ci legge dentro, questo lo fa solo ed esclusivamente con lo scopo e la intenzione di aiutarci, di permetterci di conoscerci meglio e più profondamente, di affrontare e superare i nostri lati oscuri, più reconditi e nascosti.
Solo allora, rassicurato e confortato, mi lasciò intendere, con le parole che il pudore Gli permettevano, di essere stato proiettato, trascinato in una dimensione forse troppo grande per Lui, ma dalla quale, alla quale ormai non era più in grado di sottrarsi e che la Sua vita aveva subito una svolta, forse non voluta, ma ormai inarrestabile.
Provai una grandissima tenerezza e se il mio ruolo e le esigenze della trasmissione non me lo avessero impedito, Lo avrei abbracciato paternamente, come la mia maggiore età mi avrebbe permesso.
Non Lo rividi più.
Oggi, alla notizia della Sua scomparsa provo un grande dolore misto al senso di ingiustizia e di rammarico che mi colpisce sempre, quando una persona più giovane di me, muore prima di me.
Addio Pietro, Che avevi paura Ti si scrutasse dentro. Ti ricorderò sempre con queste parole.
Domenico Mazzullo