domenica 29 agosto 2010

Ippocrate


Il mio Maestro, Colui che mi ha insegnato ad essere un medico, ma soprattutto un uomo, e non so ancora se ci sia riuscito, il dottor Claudio Summa, purtroppo da molti anni non più tra noi, era un chirurgo, un grande chirurgo e al tavolo operatorio, parlava poco, molto poco, ma quando lo faceva, mi colpiva sempre per la Sua lucidità e per la Sua malinconica e pessimistica ironia.
Una volta mi disse: "Sai, se avessi un figlio e un giorno mi dicesse che vuol fare il medico, se lo vedessi molto intelligente gli direi di fare lo psichiatra, se lo vedessi mediamente intelligente, gli direi di fare il chirurgo, se lo vedessi molto poco intelligente, gli direi di fare il ginecologo".
Non aveva stima dei ginecologi, il dottor Summa e a proposito di loro mi diceva che hanno due grandissime, immense colpe: la prima di far nascere le persone e la seconda, forse ancor più grave, di aver reso la gravidanza una malattia.
Un'altra volta, in una delle sue giornate più malinconiche mi disse: "sai ammalarsi è pericoloso, non tanto per le malattie in sè, che a volte guariscono spontaneamente, ma perchè i medici pretendono di curarle".
Molte volte mi son tornate alla mente e alla memoria le Sue parole e ogni volta ne riscontro la verità e la tragicità.
Ma oggi leggendo sul giornale la notizia di quanto avvenuto nella Ginecologia del Policlinico di Messina, quelle Sue parole mi appaiono profetiche, ma ottimistiche e non più pessimistiche come sempre le avevo credute.
Nel leggere che nel Policlinico universitario di Messina, due ginecologi hanno litigato giungendo alle mani, davanti ad una partoriente, mentre una partoriente attendeva di essere assistita da loro, che divergevano sul trattamento da praticarle, provo sgomento, orrore e vergogna di essere anche io un medico.
Per la cronaca, alla partoriente è stato asportato l'utero a seguito di una grave emorragia e il neonato ha subito due arresti cardiaci, per cui è ancora da valutare se abbia subito danni neurologici a causa della anossia.
E non mi consola, nè mi rassicura per nulla la comunicazione successiva da parte della Direzione della Ginecologia, che "non c'è alcun rapporto tra la lite e le complicazioni della donna che sono sorte a prescindere da quanto è accaduto".
Spero che sia così e voglio crederci, ma questo non cambia nulla, nulla toglie alla gravità estrema di quanto è accaduto.
Sta di fatto che due medici, due ginecologi, seppur umanamente dissenzienti sulle linee di trattamento da praticare, si sono lasciati andare ad un comportamento indegno di medici, inammissibile in medici, ma ciò che è ancor più grave e sconcertante, di fronte ad una paziente e in un momento di estrema emergenza.
Stento a crederlo e vorrei che fosse il contenuto di un incubo, dal quale destarmi, ma credo che non sia così.
Nel mio studio, dietro le mie spalle, è alla parete il "Giuramento di Ippocrate" che mi è stato consegnato al momento della mia Laurea e sul quale ho giurato.
Non so se sono riuscito sempre a rispettarlo ed onorarlo, ma oggi pessimisticamente, e forse ancor più pessimisticamente del mio Maestro mi chiedo se questo Giuramento abbia ancora un senso e un significato.
Certissimamente sono tantissimi i medici che lo onorano e lo rispettano quotidianamente, ma se anche uno solo di noi lo calpesta, il fango colpisce tutti.
Domenico Mazzullo

lunedì 23 agosto 2010

Cerimonie

Lo confesso, le cerimonie sono sempre state e sono per me particolarmente noiose.
Preciso, quelle religiose, perchè invece le laiche mi emozionano, ma tra quelle religiose, le uniche che fanno eccezione alla mia noia imperante e che pertanto amo profondamente, sono i funerali, in primis perchè sono brevi, perchè impongono un atteggiamento ed una espressione seria e contegnosa, vista la dolorosità della occasione, che ben si confà e si accorda con la mia perenne e dignitosa melanconia di fondo e soprattutto perchè, al termine di questi e scambiati i saluti di rito e le meste condoglianze ai familiari del defunto, ciascuno alla propria casa può far ritorno, senza passaggi e seguiti aggiuntivi.
Odio invece le cerimonie festose, i battesimi, che mi appaiono come la prima imposizione degli adulti sul recente neonato, le cresime, per fortuna ora più rare, ed in primis i matrimoni che impegnano una intera giornata, peggio se addirittura lavorativa.
In questi, la cerimonia religiosa, in chiesa, spesso di una lunghezza estenuante, rappresenta solo il primo atto di una commedia, per me tragedia, quando sono costretto a parteciparvi, in tre atti, il secondo , infatti, consistente nella ritualità delle foto con gli sposi, in pose improponibili e l'ultimo, il pranzo, come naturale ed evidente, il più temibile ed estenuante, lunghissimo, interminabile, claustrofobico e defatigante, per me che non sopporto di rimanere più di cinque minuti seduto a tavola, con le lentissime pause ed intervalli tra una portata e l'altra e quando tutto finalmente sembra finito, dulcis in fundo, la torta nunziale con rituale taglio di questa da parte degli sposi e il brindisi, vera tortura per me astemio.
Premesso questo, ho provato un istintivo moto di comprensione e solidarietà umana nel vedere il Santo Padre, per il quale sinceramente non provo simpatia, per motivi personali ed ideologici, colpito da un improvviso raptus morfeico, con tanto di tiara papale sul capo, schiacciare un improvvisato quanto improvvido pisolino, davanti agli occhi di tutti, durante chissà quale cerimonia alla quale presenziava, vinto dal sonno e forse anche dalla noia.
Non mi è difficile immaginare la costernazione e l'imbarazzo del fedele sacerdote alla Sua sinistra, costretto a destarlo delicatamente, con un gesto amorevole della mano, per non urtare la pontificale suscettibilità e risparmiarGli così una sconveniente caduta di immagine.
Domenico Mazzullo

giovedì 12 agosto 2010

Sensi di colpa

Se esistono i sensi di colpa, cosa di cui sono certi gli psicoanalisti che su questi hanno creato la loro fortuna, allora spero che questi sensi assillino per tutta la vita i proprietari di quel povero cane che ieri si è gettato giù dal settimo piano a Roma, non sopportando il dolore di essere stato lasciato solo dai suoi "amici umani" i quali, partiti per le giuste vacanze, lo avevano affidato ad un amico che gli recava il cibo, cibo che sebbene sufficiente per la sopravvivenza fisica del povero cane, non era evidentemente per nulla sufficiente alla sua sopravvivenza morale per la quale gli era assolutamente indispensabile la presenza dei suoi "amici umani".
Ho usato l'aggettivo morale, non a caso o per superficialità, ma coscientemente e volontariamente, perchè quella morale, quella affettività che sempre più raramente si riscontra negli umani, per contrasto e per fortuna sempre si incontra nei nostri amici animali e in special modo nei cani.
Alcuni, a proposito di questo triste evento accaduto a Roma e di uno analogo di soli pochi giorni addietro, vicino Torino, hanno parlato di suicidio del cane, venendo subito smentiti da veterinari ed "esperti" di animali, che hanno negato la possibilità di una volontà suicidaria in un cane, attribuendo l'accaduto ad "un gesto irrazionale frutto di uno stato di agitazione psicomotoria conseguente all'ansia da separazione".
Belle parole certo, ma che non tranquillizzandomi assolutamente, mi appaiono invece come un modo elegante e rassicurante per esprimere lo stesso concetto: disperazione con conseguente atto impulsivo e irrazionale, contrario all'istinto di sopravvivenza, ossia suicidio.
E ancor peggio non è forse suicidio la, in questo caso consapevole, razionale e volontaria rinuncia da parte del cane ad alimentarsi, quando il suo "amico umano" lo ha lasciato, per un breve periodo, o lungo, o per sempre?
Io ho personalmente assistito a casi dolorosissimi e commoventi di cani ed anche gatti, che lasciati soli, da miei pazienti deceduti, si son lasciati letteralmente morire, forse consapevoli, per quelle ragioni del cuore che la ragione non comprende, che il loro padrone non sarebbe più tornato da loro e con loro.
Mi fu narrata alcuni anni addietro, da una mia paziente, la vicenda commovente di suo fratello e del suo cane.
Il fratello, vedovo era solito andare a pescare tutte le mattine su uno scoglio e il suo cane fedelmente gli faceva compagnia e lo assisteva.
Una mattina il pescatore scivolò dallo scoglio reso sdrucciolevole dall'acqua, cadde a terra battendo violentemente la testa e morì sul colpo. Il cane corse a casa a chiedere aiuto facendosi intendere dai familiari del padrone che,subito accorsi, trovarono il corpo.
Tutte le mattine il cane si recò allo scoglio, per molti giorni, attendendo che il padrone tornasse.
Una mattina alcuni pescatori, che erano lì vicino e per i quali era divenuta familiare l'immagine di quel cane da solo sullo scoglio, in attesa, lo videro prima agitarsi e leccare il punto ove il suo padrone cadendo aveva battuto la testa morendo e subito dopo gettarsi in acqua nuotando verso il largo fino a che lo videro sparire tra le onde.
Neppure in questo caso si può parlare di suicidio volontario?
Domenico Mazzullo
d.mazzullo@tiscali.it
www.studiomazzullo.com